Progetto Un solo grande silenzio

L’idea
Come altri milioni di persone, ho radicata in me la ferita della Shoah, non per esperienza familiare, ma per un profondo senso di giustizia che ho coltivato nel tempo e che, attraverso letture e riflessioni, mi ha portato, tempo fa, a cercare di sensibilizzare le persone che incontravo (in primis i giovani) sul genocidio degli ebrei e, in senso lato, sull’affronto alla vita da parte di qualunque forma di estremismo.
Ho visitato tantissimi campi di prigionia, concentramento e sterminio, dai più spogli come quello di Dachau, nei pressi di Monaco, dove non è rimasto quasi nulla se non un edificio e il tracciato delle baracche dei deportati, a quello di Auschwitz (Oświęcim in polacco), forse il più tremendo e difficile da visitare, dove milioni di valigie, occhiali, scarpe formano montagne di fronte alle quali è impossibile rimanere indifferenti, dove ci si trova davanti il muro delle esecuzioni, crivellato di colpi, dove si vedono i forni crematori, dove decine di sopravvissuti tornano per ricordare gli amici e i familiari scomparsi. E poi Mauthausen in Austria, Gross Rosen e Treblinka in Polonia, terminando il viaggio alla poco nota Risiera di San Sabba, vicino a Trieste.

Le immagini
Per questo progetto fotografico ho scelto il colore, la luce viva e in alcuni momenti accecante, i forti contrasti, le linee essenziali, che sono poi lo stilema a me più caro. Ho concepito questo progetto come un percorso di avvicinamento in cui il visitatore si cala progressivamente nell’esperienza emozionale di chi, allora, ha subito la Shoah, ma con i toni compositivi assolutamente sobri che un tale percorso richiede: nessuna fotografia sensazionale, solo immagini terse, sintetiche, che intendono suscitare riflessioni ma non offendere la sensibilità, foto in cui non è importante riconoscere il luogo esatto ma cogliere un messaggio, che risuona con forza nel silenzio (da qui il titolo scelto).


© Alessandra Repossi